AREPO

L’AREPO MISTERIOSO

Durante la lunga ricerca sul Quadrato Sator-Rotas ho notato un fatto fondamentale:

Il latercolo della Grande Palestra sembrava avere dei legami con Saturno, il mitico dio dell’età dell’oro.

Ipotesi per altro già sostenuta in passato da eminenti studiosi come Walter O. Moeller, che vide Saturno-Crono nella figura del SATOR.

Vediamo perché:

  1. Innanzitutto, sopra il Quadrato è scritta la parola SAUTRAN, che anagrammata diventa SATURNA(O), con riferimento a Saturno, o ai Saturnia regna, la mitica età dell’oro.
  2. La grande S che sovrasta il Quadrato pompeiano richiama l’iniziale di Saturno.
  3. Sopra la parola ROTAS, che anagrammata forma ASTRO(A), le stelle, è disegnato un triangolo che rappresenta la costellazione del Capricorno, dominata nell’astrologia dal pianeta Saturno.
  4. Anche i cabalisti medievali definivano il Quadrato come un Pentacolo di Saturno.
Saturno con l’harpé

Saturno con l’harpé

Accettando la possibilità che l’iscrizione sulla colonna della Grande Palestra potesse essere rivolta a Saturno, è noto che nelle rappresentazioni pittoriche e scultoree questo dio è quasi sempre raffigurato con in mano uno strumento particolare, chiamato sia falce che harpé.

Si tratta di un’antica spada di origine orientale a forma di falce, ma dotata talvolta anche di un rostro a forma di ronca sulla parte tagliente della lama.

Sulla base di queste considerazioni ho ipotizzato che AREPO potesse avere qualche legame con harpé. In greco infatti il vocabolo si presenta senza l’acca aspirata e si legge άρπη. Da questa parola greca deriva il latino harpē -ēs, anche nella forma arpē.

L’ipotesi si è rivelata esatta.

Seguendo questa intuizione ho infatti approfondito la ricerca sull’harpé.

Il Thesaurus linguae latinae alla voce HARPE riporta questa precisazione tratta dai GLOSSARI:

ARIPUS = GLADIUS FALCATUS

 Laripus è quindi una spada ricurva a forma di falce.

Il termine deriva dal greco άρπη, che a sua volta viene dal verbo αρπάζω, il rapio latino.

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St. Gallen, Stiftsbibliothek, Cod. Sang. 912, p. 25 – Il glossario palinsesto Abba-Ababus (http://www.e-codices.unifr.ch/it/list/one/csg/0912)

Il Corpus glossariorum latinorum riporta la glossa citata in due antichi glossari ritrovati nei codici:

1.              Codice Sangallensis 912
2.              Excerpta ex Codice Vaticano 1468

AREPO, dal punto di vista filologico, è una parola latina derivata dal termine greco άρπη.

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Le due forme dell’harpé

In questa parola l’alfa iniziale è aspirata, possiede infatti spirito aspro, che in latino viene traslitterato come  “h”, e diviene harpē. Questa aspirazione però indica che la parola originaria possedeva una “s” iniziale, in seguito caduta. La radice indoeuropea era infatti “srep”[1], da cui derivano molte parole, ad esempio il greco άρπαξ, rapace, il latino rapere, ghermire, in italiano arpione e rapace. Da questa stessa radice si giunge ad árepo, nel quale è caduta la sibilante iniziale.

Successivamente la “e” debole, cioè non accentata, della radice agevolmente si è trasformata nella “i” di áripus per apofonia, detta anche alternanza vocalica, cioè la proprietà che ha una vocale del tema o di un suffisso di mutare rispetto alla qualità o alla quantità.

Aripus non è altro che una variante di arepus, proprio come ‘Areopagus si ritrova nei testi antichi anche nella variante ‘Ariopagus, e àrepennis nelle forme àripennis e àrapennis.

Qua re bonitate potius nostrorum verborum utamur quam splendore Graecorum. (Cic. Orator  164), perciò usiamo piuttosto buone parole latine che splendide parole greche, consigliava Cicerone.

Arepus/Aripus era appunto una parola latina rara derivata dall’αρπη greca.

L’importanza e la validità del collegamento tra AREPO e la parola ARIPUS, citata dai Glossari latini, mi è stata confermata dal professor Aldo Lunelli, docente di Filologia Latina presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Scienze del Mondo Antico dell’Università di Padova, al quale va un sentito e riconoscente ringraziamento.

Pur avendo trovato l’antica parola dalla quale deriva AREPO, arepus /aripus, rimane un altro difficile problema da risolvere: spiegare la desinenza in –o.

Riterrei presumibile, e vedremo più avanti le vere motivazioni, che AREPO potesse essere assimilato alla parola Arctus , l’Orsa, che si trova spesso nella variante Arctos. Si tratta di  un  vocabolo sempre di origine greca con l’accusativo in –on.

La perdita della –s finale potrebbe essere spiegata con un’apòcope, che consiste in un troncamento della parola mediante la caduta di uno o più lettere finali.

La caduta delle consonanti finali è un fenomeno molto antico, sia nel linguaggio parlato che nella letteratura.

In italiano sono frutto dell’apòcope le forme: “bel” per bello, “gran” per grande “fra” per frate, “castel” per castello, e le espressioni “fior fiore”, “man mano”, o il poetico “un fil di fumo”.

Anche Aristotele nella Poetica parla della possibilità di allungare o accorciare le parole:

Una parola può essere allungata o abbreviata a seconda che ci si serva di una vocale più lunga di quella ordinaria o di una sillaba aggiunta, o che invece si tolga qualcosa. (1458a)

Queste parole sono usate sia per il nominativo che per l’accusativo, perché sono forme indeclinabili.

La presenza nel Quadrato di una parola indeclinabile, che aveva la stessa desinenza sia per il nominativo che per l’accusativo, consentiva anche di poter architettare il periodo in più modi.

Si poteva creare una frase con un soggetto e tre accusativi, o due frasi rette entrambe dal verbo tenet, aventi ognuna un soggetto singolare e un complemento oggetto plurale.

Spiegare AREPO con la presenza di un’apòcope potrebbe sembrare una forzatura, ma in realtà trova delle giustificazioni piuttosto fondate. Ad esempio:

  1. Sul graffito della Grande Palestra di Pompei incontriamo proprio un’apòcope: la prima riga riporta, infatti, sautran val al posto di sautran vale.
  2. Anche la definizione del Quadrato, attestata da Ussani[2] a Montecassino a margine di un foglio su un testo risalente al XVI secolo, presenta un’apòcope. Il crittogramma viene definito:

oratio optima contra discensum et alia(s) morbos

preghiera contro la sfortuna e in altri casi contro le malattie

Il troncamento della esse finale evita, anche in questo caso, il cacofonico incontro di due consonanti.

Inoltre apòcope significa, sia in greco che in latino, troncamento, taglio, ma anche castrazione. L’apocopus è l’eunuco. Vedremo ora come la storia dell’harpé sia strettamente collegata all’immagine dell’evirazione.

Secondo il racconto di Esiodo, nell’originaria mitologia greca l’harpé sarebbe stata creata da Gaia, la Terra, col prodigioso metallo adamante e consegnata al figlio Crono, Saturno, per evirare il padre Urano, il Cielo.

L’apòcope è quindi la rappresentazione di questo antico mito.

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La costellazione della Vergine (disegno)

ARIPUS-AREPUS-AREPO è quindi una glossa, cioè una parola rara, trasformazione latina del termine greco άρπη, e può assumere sia il significato di falce, che quello di spada falcata-rostrata, oppure quello di falce adamantina.

Ma harpé ha anche un altro significato. Dopo lunghi studi sulle conoscenze astronomiche del I sec. a.C., periodo in cui non erano ancora state codificate le costellazioni come le conosciamo oggi, ho scoperto che la spada falcata era anche la rappresentazione dell’asterismo della grande falce primaverile.

Si tratta di una figura astronomica formata dalle stelle del Grande Carro/Orsa Maggiore/Aratro, come si voglia chiamarlo, che continua fino alla stella Arturo, nella costellazione di Bootes, chiamato anche il contadino, fino alla stella Spica, l’astro più importante della costellazione della Vergine, che durante le notti primaverili sembra toccare l’orizzonte.

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La grande falce primaverile

La grande falce primaverile sembra creare, quindi, un collegamento, un ponte, fra il cielo e la terra, fra Dio e l’uomo.

La parola AREPO ha quindi un significato letterale, grande falce, ed uno traslato di carattere  astronomico, l’asterismo della grande falce primaverile.

Due significati, come suggerito dalle parole stesse che sono palindromi o bifronti.

Doppio senso, uno terreno ed uno celeste, si tratta, quindi, di una figura retorica detta anfibologia.

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[1] Cfr. Lorenzo Rocci, Vocabolario Greco-Italiano, voc. άρπαξ [√srep. lt. rapere], 1971, e Alfredo Ghiselli, Guido Barbieri, Corso di lingua greca, vol. I, Bologna, 1968

[2] Ussani, Studi Medievali XV, 19437